Questo articolo è tratto da una ricerca di gruppo svolta per la disciplina di Sociologia per l'Architettura del professore Leonardo Chiesi all'Università degli Studi di Firenze.
Componenti del gruppo: Sezai Celoaliaj, Francesco Creatini, Vanessa Giannetti, Luca Sigali, Fernando Sincero Junior, Zilan Ugurlu
Le architetture sono un po’ come le piante: sono stanziali e subiscono gli agenti esterni. La lezione che le piante vogliono insegnare è che esse, sfruttando la loro intelligenza, sono riuscite nel tempo ad usare ogni strumento in loro possesso per adattarsi ad ambienti differenti. Non è così per le architetture, hanno bisogno di macchine, dei condizionatori, della luce artificiale. Immaginare un edificio che si autosostiene, realizzato con criteri di riciclo dei materiali e che rispetta le risorse naturali è oneroso dal punto di vista intellettuale. Si tratta però di un modus operandi efficace al fine di affrontare una problematica di grande rilevanza come quella del cambiamento climatico.
L’architettura delle città e il futuro degli edifici saranno per forza legati a questo tema. A seguito di continue alluvioni o problemi energetici e d'inquinamento, si costruisce il malessere di una società che sta diventando sempre più attenta ai temi della salute e a quelli ambientali. L’architettura è il campo in cui è presente il più alto consumo di risorse e produzione di emissioni. Gli architetti e gli ingegneri dovranno rispondere sulla mobilità, sui consumi energetici. Ora c’è molta più sensibilità. Traghettare da culture improntate al consumo e al profitto a qualcosa che diventi un bene comune è un passaggio lento e difficile.
Molti scienziati si sono interessati al legame tra architettura e vegetazione già dal 1980. Le ricerche hanno dimostrato come il contatto con la natura favorisca un veloce e significativo recupero dalla fatica e come il verde permetta di mantenere più a lungo la concentrazione senza causare affaticamento mentale. È stato riscontrato che tutti gli individui che hanno la possibilità di accesso ad ambienti naturali hanno uno stato di salute migliore e sono più soddisfatti della propria vita rispetto ai soggetti che vivono e lavorano in ambienti fortemente antropizzati.
Sono stati studiati anche gli effetti della natura in ambienti carcerari. Il risultato ha portato alla conclusione che tutto il campione di detenuti con la possibilità di vedere dalla finestra della propria cella il paesaggio vegetale era meno soggetto a malattie digestive, mal di testa e sintomi da stress. Altre ricerche hanno invece sottoposto un gruppo di studenti a test e si è notato che tutti quelli che durante la prova potevano osservare la natura ottenevano migliori risultati rispetto agli studenti a cui era negata questa vista.
Approfondimenti
Libri:
MANCUSO, Stefano. Plant Revolution. Firenze: Giunti, 2017.
PALLASMAA, Juhani. Los ojos de la piel, La arquitectura y los sentidos. Barcellona: Editorial Gustavo Gili, 2019.
Report:
BROWNING, William; RYAN, Catherine; CLANCY, Joseph. 14 patterns of biophilic design: improving health & well-being in the built environment. New York: Terrapin Bright Green Llc, 2014.
Monografie:
BROOKS, Massey Paul. Refreshing the design process: waving neuroscience and psychology into architecture. 2015. 159 f. Tesi (Dottorato) - Architettura, University Of Hawaiʻi At Mānoa, Honolulu, 2015.
Francesca Di Dato, “I giardini terapeutici, linee guida progettuali e casi di studio”, Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali - Università di Pisa, 2013.
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